Nell’atto costitutivo dell’Università degli studi di Cagliari, del 1764, un paragrafo è dedicato alla Biblioteca Universitaria. Se ne definisce da subito il carattere di istituzione aperta al pubblico. La biblioteca troverà posto nel costruendo palazzo del’Università (il cui progetto fu affidato al giovane architetto militare piemontese Saverio Belgrano di Famolasco), in una grande sala al primo piano, progettata da un altro architetto militare piemontese, Giacinto Marciotti. La sala, oggi nota col nome di Sala Settecentesca, denominata in origine Sala Grande o Salone, è un grande locale rettangolare, lungo circa venti metri, largo otto, e alto sette metri e cinquanta, dotato di ampie finestre che guardano il porto. Il duplice ordine di scaffalature, laccate in un bel color avorio con fregi dorati, occupa interamente le pareti a destra e a sinistra della sala, mentre un ballatoio o galleria, al quale si accede attraverso una ripida scala nascosta da una piccola porta, posta a destra dell’ingresso, si snoda nei quattro lati della sala. Le scaffalature furono realizzate dall’artigiano cagliaritano Angelo Cardu, in un primo tempo tinteggiate di rosso scuro, e successivamente di un colore simile a quello attuale, che conferiva maggiore luminosità all’ambiente. La volta era provvista di una controsoffittatura decorata con le armi della dinastia sabauda. Il pavimento originario era in ardesia. La sala, dotata di un primo regolamento nel 1785, sotto Vittorio Amedeo III, fu aperta al pubblico nel 1792. Fu insieme luogo destinato alla conservazione dei libri e sala di lettura fornita di tavoli di legno e sedie. La consultazione in sala era limitata alle ore in cui si poteva sfruttare la luce naturale, per evitare il ricorso a illuminazione a fiamma (lampade alimentate con oli combustibili, o candele), per ridurre così al minimo il pericolo di incendi.
Nel corso degli anni ci furono delle modifiche: la controsoffittatura originaria venne sostituita dai lucernai; successivamente alla struttura lignea fu fissata una tela decorata con motivi floreali, e infine in tempi più recenti si adottò una controsoffittatura decorata in oro, dalla quale pendevano dei grandi lampadari di vetro di Murano. Di alcuni di questi passaggi esiste testimonianza fotografica. Nel corso degli anni, anche l’antico pavimento d’ardesia fu sostituito da uno di quadrati di marmo nero, inframmezzati da tozzetti bianchi, successivamente smantellato e coperto da moquette.
Nel 1987 la Sala venne considerata inagibile e chiusa al pubblico. Alla fine degli anni Novanta un accorto progetto di restauro la riportò agli antichi splendori. Furono ripristinati i lucernai e il pavimento di marmo. La sala venne riaperta al pubblico nel 1999-2000, e da quel momento, fino ad oggi, ha assunto il ruolo di sala di rappresentanza, dove si svolgono manifestazioni culturali di varia natura: conferenze, presentazioni di libri, convegni, concerti e visite guidate.
Il primo nucleo costitutivo della Biblioteca ospitato nella “sala grande” era di circa ottomila volumi, provenienti dalle collezioni private del Sovrano e del Ministro Bogino, nonché dalle dispense che i docenti delle varie discipline erano tenuti a donare, dai libri stampati nella Reale Stamperia di Torino e in quella di Cagliari, istituita nello stesso palazzo dell’Università nel 1770. Fanno parte di questo primo nucleo anche i libri provenienti dal convento gesuitico di Santa Croce, dopo la prima soppressione della Compagnia di Gesù, avvenuta nel 1773. La ricca biblioteca dei Gesuiti, già appartenuta al bibliofilo e giudice della Reale Udienza Monserrato Rossellò, giunse ad essi per legato testamentario, dopo la morte del Rossello, avvenuta nel 1613.
Attualmente sono custoditi nella sala 11.800 volumi appartenenti al patrimonio antico. Si tratta in massima parte di edizioni a stampa del Seicento e del Settecento e di un numero più ridotto di libri stampati dal 1801 al 1830, anno che convenzionalmente delimita il passaggio dal libro antico al libro moderno. Questi libri provengono dall’incameramento dei beni, appartenuti alle congregazioni religiose soppresse a più riprese nell’Ottocento, e pervenuti in Biblioteca durante la direzione di Vincenzo Angius, che ne riferisce in una relazione del 1873 al Ministero dell’Istruzione. L’attuale sistemazione per formato è degli anni Sessanta del Novecento. Sono presenti in gran numero libri di teologia, filosofia, diritto, ma anche di argomento scientifico, storia, geografia, letteratura, redatti soprattutto in latino, in spagnolo, ma anche, seppure in misura marginale, in lingua italiana e in alcuni casi, per la produzione scientifica, in francese.
Nella sala sono ospitate alcune sculture: un busto ottocentesco raffigurante lo storico Giuseppe Manno, dello scultore algherese Moccia, e altri dedicati a personaggi di cultura del Novecento sardo, quali l’incisore, pittore e illustratore Felice Melis Marini e il Professor Francesco Alziator, studioso di tradizioni popolari e di cose sarde, che ha lasciato pagine indimenticabili su Cagliari. Arricchisce la sala un globo tardo ottocentesco del geografo torinese Cora, e un torchio per la stampa delle incisioni, appartenuto all’artista cagliaritana Anna Marongiu Pernis, scomparsa in giovane età nel 1941, alla quale è dedicato il Gabinetto delle stampe custodito nei locali della Cappella dell’ex Seminario.